20 Ottobre 2017

2012 / In cerca d’autore. Studio sui”Sei personaggi”

Esito finale del progetto triennale, diretto da Luca Ronconi, nato dalla collaborazione tra il Centro Teatrale Santacristina e l’Accademia Nazionale d’Arte Drammatica “Silvio D’Amico” con un gruppo di giovani attori selezionati tra gli allievi diplomati nel 2010 e nel 2011 presso l’Accademia.
L’itinerario formativo e creativo, che conduce alla nascita dello spettacolo e si compie negli spazi della scuola del Centro Teatrale Santacristina, inizia nell’agosto 2010, prosegue l’estate successiva e si conclude con questa messa in scena nell’ambito del 55° Festival dei Due Mondi di Spoleto.

Lo spettacolo è prodotto dal Centro Teatrale Santacristina e dall’Accademia Nazionale Silvio d’Amico con la collaborazione del Piccolo Teatro di Milano.


Locandina/Programma
Spoleto, Teatrino delle 6
7-13 luglio ore 18.00
14 e 15 luglio ore 15.00

In cerca d’autore
Studio sui “Sei personaggi” di Luigi Pirandello

diretto da Luca Ronconi

Assistente alla regia Luca Bargagna

Padre Massimo Odierna / Luca Mascolo
Madre Sara Putignano
Figliastra Lucrezia Guidone
Figlio Fabrizio Falco
Giovinetto Paolo Minnielli
Bambina Elisabetta Misasi
Madama Pace Alice Pagotto
Capocomico Davide Gagliardini
Prima attrice Elisabetta Mandalari
Seconda attrice Rita De Donato
Primo attore Elias Zoccoli
Secondo attore Remo Stella
Suggeritore Andrea Volpetti
Macchinista Andrea Sorrentino

impianto scenico Bruno Buonincontri
luci Sergio Ciattaglia
direttore di scena Alberto Rossi
produzione a cura di Roberta Carlotto
delegati alla produzione Claudia Di Giacomo, Maria Zinno, Elisa Ragni

produzione Accademia Nazionale d′Arte Drammatica “Silvio d’Amico” e Centro Teatrale Santacristina
foto di scena Luigi Laselva

progetto realizzato nel triennio 2010-2012 dal Centro Teatrale Santacristina

Materiali
Una reale sperimentazione di Roberta CarlottoFormazione permanente di Lorenzo SalvetiNella stanza della tortura di Franca Angelini

Non si può immaginare il lavoro di Luca Ronconi a Santacristina senza la presenza dei giovani. È bello vedere come la moralità, potremmo dire l’etica di Ronconi nell’insegnamento, che è poi una parte importante della sua vita, viene non dichiarata ma messa in pratica durante i laboratori che si svolgono ormai da dieci anni durante l’estate a Santacristina. Nessuna ideologia ma un grande lavoro sui testi, uno scambio continuo tra allievi e maestro. A Santacristina si prova l’intera giornata e Ronconi ascolta, corregge, mette a confronto gli uni con gli altri e suggerisce le molteplici relazioni che esistono tra i personaggi.
Più in generale per Ronconi si tratta di distogliere gli allievi dall’idea di portare in scena sempre e solo se stessi, educandoli a essere interpreti nel senso più pieno della parola e non maschere autoreferenziali. E quale testo può rappresentare meglio questa funzione se non i Sei personaggi in cerca d’autore di Pirandello? Qui i personaggi, come dice Ronconi, vivono nella mente dell’autore, sono rappresentazioni della mente che non possono avere nessuna concretezza… Sono “chimere che stanno là in quel cervello…”
Il titolo dello spettacolo, infatti, è diventato In cerca d’autore. Studio sui “Sei personaggi” di Luigi Pirandello ed è il risultato di un progetto triennale che è nato dalla collaborazione del Centro Teatrale Santacristina con l’Accademia Nazionale d’Arte Drammatica “Silvio d’Amico”, diretta da Lorenzo Salveti. Un vero work in progress che ha visto impegnati per tre anni consecutivi gli attori appena diplomati dei corsi del 2010 e del 2011, per andare in scena quest’anno nell’ambito del Festival di Spoleto 2012.
Sotto la guida di Luca Ronconi si è costruito un percorso di studio inedito. A Santacristina abbiamo messo a confronto gli allievi diplomati di due anni successivi, prima singolarmente e poi, dopo una selezione, riuniti nel gruppo che vedremo impegnato quest’estate al Teatrino delle sei: anno dopo anno si è lavorato in successione sul primo e sul secondo atto dei Sei personaggi, mentre il dramma, per intero, è il risultato finale che andrà in scena a Spoleto.
Ma, come dice anche Salveti, la parola “fine” non si addice a Ronconi. Per cui ricomincia, anzi prosegue, la collaborazione con l’Accademia con un altro laboratorio che avrà inizio a Santacristina dalla metà di luglio e che vedrà impegnato un nuovo gruppo di allievi, diplomati quest’anno, al lavoro su vari autori. Con loro Ronconi intende proseguire la sua ricerca su Pirandello, di nuovo con un testo che ha una grande storia alle spalle: Questa sera si recita a soggetto.
Per Santacristina, e per tutti noi che ci lavoriamo con passione, l’incontro con Salveti e con l’Accademia è stato un passo importante, una nuova tappa del nostro percorso. È stato possibile, cosa non facile in Italia, costruire un progetto che ha davanti a sé un tempo e una misura tali da permettere una reale sperimentazione.

Quest’anno il Progetto Accademia ospitato dal Festival di Spoleto propone un programma monografico interamente dedicato alla terza fase, finale, del laboratorio condotto a Santa Cristina nel triennio 2010-2012 da Luca Ronconi con i nostri allievi . ‘Finale’ non è certo in questo caso la parola giusta. Un progetto nato per sperimentare e sperimentarsi non prevede fasi davvero conclusive; imparare a fare l’attore è una pratica che non contempla la parola fine, neppure alla luce dei risultati raggiunti con il trascorrere degli anni . Affrancati dalla responsabilità di presentare un prodotto finito, i nostri ragazzi hanno fatto esperienza di sé, di drammaturgie e linguaggi diversi e del rapporto con un grande Maestro , in un processo aperto . Hanno provato la vertigine di un esercizio che, programmaticamente , fin dall’inizio , non prevedeva condizioni date e regole certe, neppure, a ben guardare, sul piano metodologico e tanto meno su quello stilistico ; un esercizio che solo richiedeva la disciplina e il rigore della ricerca , la curiosità intellettuale ed il coraggio di non affidarsi ad un bagaglio di certezze consolidate.
Oggi si arriva alla presentazione al pubblico dello studio fatto sui “Sei personaggi”, ma a Pirandello si è approdati lavorando anche su ‘altro’ (Giordano Bruno, Luciano, Andersen, Giovan Battista Andreini, Pasolini ) proprio allo scopo, credo, di moltiplicare le occasioni di confronto e di conoscenza e al tempo stesso allo scopo di superare quello che si è già conosciuto e già imparato, per sfuggire alla piattezza, alla stasi della ripetizione.
L’Accademia è grata a Luca Ronconi per aver richiamato, ancora una volta, con questa esperienza, l’attenzione di noi tutti sul senso ultimo e vero della parola ‘formazione’ e , perché no , sul senso delle parole “formazione permanente”: La formazione non è solo quello che si è già imparato, è soprattutto il frutto delle esperienze fatte e la curiosità che si ha di farne altre. Per me la vera formazione è il fare: lavorare con gli attori, condividere con loro delle esperienze. Esperienze attraverso le quali non so se si formano loro o se mi formo io (Luca Ronconi).
Le repliche a Spoleto dei “Sei personaggi” si concluderanno il 15 luglio;già il 14, a Santa Cristina, avrà inizio il nuovo laboratorio con gli allievi dell’attuale III anno. Questo accavallarsi di date forse non è solo casuale.
Un grazie particolare a Roberta Carlotto e a tutti i collaboratori di Santa Cristina e dell’Accademia, che hanno condiviso con generosità ed affetto il complesso cammino ideativo ed organizzativo di questi tre anni.
Dobbiamo a Giovanni Macchia il saggio del 1981 Pirandello e la stanza della tortura, titolo che significa la distruzione, con la drammaturgia pirandelliana, dei salotti, dei triangoli e delle conversazioni mondane, con la presenza di nuova idea dello spazio teatrale come spazio della mente e del corpo, da chiamare, con Sartre, delle porte chiuse, per una nuova idea dei rapporti tra uomini, dell’estraneità e appunto della tortura.
E’ nel chiuso di una stanza che Pirandello viene visitato da fantasmi che vogliono vivere nella sua scrittura, superando il rifiuto che sempre inizialmente li accoglie , poiché i personaggi rappresentano sempre per lui l’altro , l’ estraneo portatore di rancori e disagi.
Nel 1906 il racconto Personaggi già parla di una servetta Fantasia che annuncia il loro arrivo e di se stesso autore che concede loro udienza: “oggi, udienza. Ricevo dalle ore 9 alle 12, nel mio studio, i signori personaggi delle mie future novelle”; ai quali nega la vita a causa della miseria del mondo ma anche sua propria, piccolo “Padreterno di carta”: “Meglio per loro restar “ombre vane”, scrive, ombre che già sembrano annunciare una temporanea vita in palcoscenico, luogo per eccellenza in cui un’ombra diventa corpo vivente.
Il rifiuto si conferma nell’umoristico successivo racconto del 1911, La tragedia di un personaggio, pubblicato nel “ Corriere della Sera”, dove l’angoscia del tempo viene affrontata dal dottor Fileno rovesciando il cannocchiale, annullando la differenza tra presente e passato, guardando il presente come già lontanissimo e relegato negli archivi del passato .
Nel presente il personaggio può solo vivere come in una tragicomica buffonata, mentre lo scrittore può solo destinarsi al silenzio o a una scrittura infelice, imperfetta copia di un’esistenza infelice.
Nel 1915, Pirandello torna sul tema con il racconto Colloqui coi personaggi, pubblicato in due puntate sul “ Giornale di Sicilia”, testo che annuncia il dramma, perché ampiamente dialogico e perchè rivela un coinvolgimento autobiografico , con il ricordo della madre appena morta e di episodi della sua giovinezza, dal passato del Risorgimento al presente della I guerra mondiale.
Il quadro della preistoria del dramma si salda con il frammento di romanzo, forse del 1917, annunciato in una lettera al figlio Stefano come “romanzo da fare”; dove compare la figura di un Padre anziano libertino in cerca di piacere nella l’equivoca casa di “una certa signora Pace”, casa borghese all’apparenza ma degradata al suo interno, in una città-metropoli alienante e antifuturista, descritta negli stessi termini nel romanzo sul cinema Si gira… del 1915: “il tintinnio dei campanelli dei tram, il bando dei venditori ambulanti…” (da questo caos della metropoli vengono forse i sei personaggi del dramma, prima di rifugiarsi in un teatro).
I rapporti con il personaggio, creazione rifiutata insieme alla soggettività intangibile dell’autore, con eros, con la famiglia, con la metropoli, stanno dunque nella preistoria del dramma e trovano in esso il suo congeniale spazio di esistenza: lo spazio di un teatro vuoto, aperto alla ricerca, all’occupazione della mente e della fantasia, spazio della colpa e della sua rimozione , dell’interruzione e della censura.
Uno spazio negato alla ripetizione (alla “prova” come répetition che gli attori stanno maldestramente eseguendo), da usare invece nel senso opposto dell’apparizione, della prima e unica volta, della rivelazione di una trama capace di legare destini umani apparentemente uniti solo dal caso e dall’infortunio, entro quella infelice trama di rapporti che chiamiamo famiglia.
Uno spazio della ricerca, aperto ad accogliere prima i motivi di ciascun personaggio, poi quelli del conflitto, infine quelli dell’impossibile tragica separazione, sancita dalla presenza mitica del capro espiatorio contenuta nella morte dei due figli silenziosi, dimenticati dalla madre, estranei e vittime del dramma.
La scena teatrale è ora il tempio della impossibile comunicazione, nella quale dominano le forme estreme della comparsa-scomparsa e del dialogo-interruzione tra personaggi e attori, nonché tra Capocomico, attori (e suggeritore).
L’azione del dramma “senza atti né scene” sarà infatti interrotta due volte, una quando il Capocomico e il Padre si ritirano per concertare la scena da far recitare agli attori, l’altra quando “per isbaglio il macchinista butterà giù il sipario” così vanificando anche la canonica funzione del sipario, che consiste nella momentanea separazione tra scena e pubblico e nel nascondere il retroscena. Qui il sipario cade anche come simbolico gesto censorio dell’incesto sfiorato.
A riapertura del sipario, cambia la scena. Al centro starà la vasca da giardino, segno delle morti per annegamento della Bambina ( in un simbolico ritorno, con l’acqua, al ventre materno) e per un colpo di pistola del Giovanetto, mentre tutti gli altri vivranno, ma nel segno del rifiuto reciproco.
Ora subentra un’altra manifestazione dell’estraneità cioè il silenzio, la sottrazione della parola come anticipazione, oltre che causa, di ogni morte.
Lo spazio della scena appare dunque l’unico, ma degradato, possibile luogo di un evento che solo al primo apparire alla fantasia dello scrittore è stato vero, unico e non ripetibile, ripetizione che al contrario caratterizza il teatro, come prova e come re-citazione di un testo prescritto. Per questo il Figlio si rifiuta ostinatamente di parteciparvi, come rifiuta la morbosa richiesta di assoluzione della Madre.
L’irruzione dei personaggi è la prova fallita di una serie di incontri che possono rivivere solo se immediati, colti nella loro imprevedibile tensione, in una sperimentazione di libertà ora impossibile.
Poiché la ”prova-ripetizione” propone proprio un testo che affronta il tema della libertà impossibile, cioè Il giuoco delle parti, che gli attori provano al momento dell’irruzione – testo che chi lo capisce è bravo, dice il Capocomico – , che riflette sul problema della libertà, a partire dalla più convenzionale delle situazioni teatrali, quella del triangolo. Con i suoi damerini ubriachi al posto dei servi confidenti, con l’antagonismo mortale del triangolo nel momento della decisione e della scelta, con una libertà concessa alla moglie ma pagata con la vita dall’amante, nella lucida regìa del marito .
Di libertà parla infatti il personaggio femminile del dramma in prova Il giuoco delle parti, che così descrive il suo rapporto col marito: “Io vedo sempre lui che me l’ha data, questa libertà , come una cosa da nulla, andandosene a vivere per conto suo, e dopo avermi dimostrato, per tre anni, che non esiste, questa famosa libertà, perché comunque possa avvalermene, sarò sempre schiava…” (I.1) .
Della stessa libertà parlerà venticinque anni dopo J.P.Sartre in Pour un theatre de situations: “Ma se è vero che un uomo è libero in una data situazione, bisogna mostrare a teatro situazioni semplici e umane e libertà che si scelgono in queste situazioni. Il carattere viene dopo, a sipario abbassato. Non è altro che l’indurimento della scelta, la sua sclerosi: quanto Kierkegaard chiama la ripetizione”.
Se al posto del “carattere” poniamo il ruolo e la funzione nella famiglia – padre madre figli e figliastri – comprendiamo perché Pirandello ha messo in prova per gli attori il Giuoco delle parti, titolo “teatrale” per eccellenza, come introduzione al dramma dei personaggi che non sono liberi di scegliere, ma solo possono ripetere quel momento che tali li ha resi.
Tale momento è quanto possiamo considerare la mise en abyme del dramma; il momento della rivelazione, dell’incontro con il rimosso, della colpa edipica o, come si userà dire dopo, del desiderio, cioè l’apparizione di Madama Pace, la scena per eccellenza, non quella del teatro ma quella del trauma e della colpa, che il teatro può mostrare solo rifiutando, negando, interrompendo con un grido.
Genialmente Pirandello farà dire tutto questo in una lingua differente ma comprensibile, un italiano spagnolo semplificato e volgare come è la lingua di Madama Pace. Ma ancor più genialmente la farà piombare in scena attraversando un paravento, come uscita dalla memoria, evocata dal senso di colpa, dalla vergogna del perbenismo soprattutto paterno, dal desiderio di rappresentare il dramma del non compiuto incesto.
Tutto l’episodio coniuga dunque i momenti strutturali del dramma, l’irruzione attraverso il paravento, la ripetizione della scena, l’interruzione attraverso il grido della madre, che si allinea ad altre interruzioni, come quella della prova degli attori, quelle dei dialoghi tra padre e figliastra che sempre si tolgono la parola, quelle infine delle morti dei due ragazzi.
Irruzione ripetizione interruzione sono momenti che fondano l’attività creativa della mente, della scrittura e della rappresentazione.
Nella edizione del 1921 Madama Pace appare sfondando un paravento, “vestita con goffa eleganza” e con le forbici in mano (forse ad indicare il carattere doppio del suo atelier- bordello nonché la censura dell’episodio incestuoso) .
Nella edizione del 1925 entrerà dall’uscio in fondo al palcoscenico, con una sigaretta accesa “con una pomposa parrucca di lana color carota (…) tutta ritinta” e poi, presentando il vecchio cliente alla figliastra , dirà a voce molto bassa “che se no te dà gusto te porta prudencia”, frase che ha bisogno di una lingua straniera per superare, prima della caduta del sipario ma nello stesso senso, le forbici della censura.
Questa frase, il sipario che cade per sbaglio dopo il grido della madre e le parole “Bruto, bruto, non vedi che è mia figlia” indicano nella interruzione censoria una delle intuizioni centrali di questa drammaturgia .
Rappresentato al Teatro Argentina di Roma il 9 maggio 1921, con molto scandalo, il testo si sottopone a continue rivisitazioni, come si conviene a un testo contenente un mondo: dalla edizione Bemporad dello stesso 1921 a quella del 1925 per la messa in scena del Teatro d’Arte diretto dallo stesso Pirandello. Le varianti tra le edizioni (principalmente del 1921,1923, 1925,1927, 1933) si devono anche alle numerose messe in scena intermedie, e ad esempio quella parigina di Georges Pitoeff del 1923, che faceva discendere i personaggi da un montacarichi e metteva in scena all’inizio tutte le maestranze, un pianoforte e una scala a pioli, assenti nella I edizione del 1921.
I personaggi subiscono, nelle varie edizioni, non poche mutazioni, più “naturalistici” nel 1921, più astratti e simbolici nel 1925, quando l’autore prescrive loro una “ certa levità di sogno” pur mantenendo la loro realtà e perciò consiglia anche l’uso di maschere che dovranno significare la loro essenza: il rimorso per il Padre, il dolore per la Madre, la vendetta per la Figliastra , cui si aggiungono la renitenza del Figlio a partecipare e la dolorosa vocazione sacrificale dei due bambini, testimoni muti di un dramma che non capiscono ma che finisce per distruggerli.
Nella edizione del 1925 il dramma terminava con la stridula risata della Figliastra, che correrà fino al ridotto del teatro , così sottolineando la connivenza del pubblico con quanto rappresentato e la modernità novecentesca di questo testo che consiste anche nella sua forma aperta, nel suo “non concludere” (come tante vicende pirandelliane).
La famiglia non si ricompone né si scioglie ma si destina a eternamente ripetere lo stesso dramma, eternamente comparendo e scomparendo come nelle rappresentazioni rituali del mito.
La summa di queste esperienze e convinzioni sta però nel “racconto cinematografico” Sei personaggi, scritto nel 1928 con Adolf Lantz da Pirandello, che non esita a mettersi in scena come attore, personaggio, occhio che guarda .
Questa redazione inizia con le parole: “Il poeta Luigi Pirandello è seduto alla scrivania del suo studio”; la qualifica di poeta gli offre la possibilità di creare personaggi, dare la vita e anche mostrare “in dissolvenza sulla sua testa l’immagine della stanza” del misero appartamento della Madre, immagine che solo il cinema consente.
Ma la sceneggiatura termina con “una scena di teatro”, coi personaggi e l’autore in smoking che guarda dalle quinte, con l’urlo della madre cui segue l’urlo di una ragazza del pubblico e l’inchino dell’autore davanti al palcoscenico, “applaudito freneticamente
Nello stesso anno, a Enrico Roma che gli chiede se non teme che il cinema toglierà spessore ai sei personaggi, risponde di aver fiducia in Murnau, probabile regista, con Reinhardt e Eisenstein, perché i personaggi guadagneranno in evidenza e in originalità grazie alla visibilità del cinema: dove sarà dunque visibile l’incubo creativo dell’autore e la nascita del fantasma anche dalla persona viva .
Si può quindi supporre che il film non sia stato realizzato perché troppo ardito nel proporre non solo personaggi, situazioni, fatti, ma l’idea di indagare sulle fonti, sulla nascita delle immagini fantasmatiche, sulla rimozione del non rappresentabile che illumina e oscura la creazione artistica.
Sono questi alcuni dei temi su cui riflette il laboratorio dedicato ai Sei personaggi dal Centro Teatrale Santacristina avviato nel 2010 da Luca Ronconi con gli allievi dell’Accademia Nazionale d’Arte Drammatica Silvio d’Amico: un laboratorio che sembra ripetere l’esempio di una ricerca aperta, prevista e sperimentata dallo stesso Pirandello.